lunedì 17 febbraio 2014

Invictus

Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever god may be
For my unconquerable soul.


In the fell clutch of circumstance
I have not winced not cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.


Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.


It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate;
I am the captain of my soul.



- William Ernest Henley -






Dal profondo della notte che mi avvolge,
nera come un pozzo che va da un polo all' altro,
Ringrazio qualunque Dio esista
Per la mia anima invincibile.


Nella feroce morsa della circostanza
Non ho trasalito, non ho gridato a voce alta.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.


Al di là di questo luogo di collera e lacrime
Incombe il solo Orrore delle ombre
Eppure la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.


Non importa quanto stretta sia la porta,
Quanto carica di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino;
Io sono il capitano della mia anima.


- William Ernest Henley -

domenica 9 febbraio 2014

Acheo contemporaneo




Meglio aver vissuto ai tempi di Troia.
Potevo fare allora qualcosa di più, chissà,
invece di questa paralisi e incertezza
e questa paura ogni giorno, queste traversie
nell'ultima metà del ventesimo secolo.

Forse allora con una cetra, traversando di corsa
su e giù l'accampamento, avrei cantato
carmi epici, per infondere coraggio ai Greci,
forse avrei potuto dar consigli ad Achille,
far finire prima la guerra e certo
con esempi più nobili e generosi,
senza cavalli di legno, senza gli inganni
degradanti per gli eroi e soprattutto senza
quell'incendio e quella spada
che annientarono Ilio. Allora forse
non sarebbero periti Ettore e altri numerosi,
belli come i Greci.
                           Forse
poi avrebbe preso anche me Ulisse,
uno in più tra i suoi compagni,
per dieci anni o anche oltre, – che importa?
una mia Itaca io non l'avevo – e forse gli dèi
non adirati, ma benevoli ci avrebbero
mantenuto propizio il tempo per la nave.

Meglio aver vissuto ai tempi di Troia,
e non ora, quando fuggendo lontano dalla patria
(ma Troia non è caduta, le nostre bandiere
ormai lacere, ed Elena
abbandonata alle nostre spalle) vado errando
da trent'anni, di qua e di là nei paesi degli amici,
senza Itaca, senza fede, senza compagni.



- Nikifòros Vrattàkos -